John Berger aveva novant'anni e ha espresso la sua arte attraverso il disegno, la pittura e la scrittura. Nella sua vita si è interessato di varie discipline soprattutto di filosofia, arte, ma anche di letteratura e poesia. Prima di essere fertile produttore di testi quello che lascia come segno indelebile della sua personalità riguarda la visione del mondo e dell'ambiente in generale. E' stato definito come il "campione del guardare" nell'accezione ampia di interrogarsi con curiosità riguardo ciò che i suoi occhi registravano, fossero oggetti, persone, elementi naturali. La sua capacità più grande quindi è stata quella di saper osservare la realtà e di saperla raccontare con dovizia di particolari e inferenze inedite a livello personale e universale.
Uno dei tanti saggi è "Fotocopie" per Bollati Boringhieri nel quale attraverso l'analisi di incontri intensi descrive, in forma di quadri, spezzoni di vita nella loro complessità. Ogni incontro innesca un circolo di associazioni attraverso il quale l'autore rivela, in una sorta di autoanalisi pubblica, se stesso.
La sua impronta ha avuto notevole influenza per altri scrittori, soprattutto nell'interpretazione di ciò che lo sguardo coglie.
Nel libro "Questione di sguardi" per il Saggiatore si rileva anche la sua capacità di critica e di tensione con la cultura contemporanea finalizzata ad una alta espressione di onestà nei confronti di se stesso e degli altri nella natura artistica ed umana.
Compagno del suo tempo è Roland Barthes (scrittore tra gli altri libri de "La camera chiara" per la Piccola Biblioteca Einaudi) con il quale ha condiviso l'amore e la sapienza nel descrivere l'ambito fotografico. Questo, dal punto di vista dell'immagine, non ha bisogno di traduzioni per una fruizione temporale precipua, ma si lascia descrivere nella sua essenza particolare e assoluta, con derive filosofiche, sociologiche di stampo critico ed espressivo.
Berger ha avuto anche il coraggio di esporre pubblicamete i suoi sentimenti e la sua intimità nel libro-lettera che scrive all'amata "E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto" (Mondadori).
Ecco l'incipit "Quando apro il portafogli per mostrare i documenti pagare in contanti o controllare l'orario di un treno osservo il tuo viso. Il polline del fiore è più vecchio delle montagne Aravis è giovane se misurata sul loro tempo. Gli ovuli del fiore daranno ancora semi quando Aravis ormai invecchiata non sarò più che una collina. Il fiore nel portafogli del cuore, la forza di ciò che vive dentro di noi sopravvivendo alla montagna. E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto."
La poesia si incontra con riflessioni amorevoli sulla vita, sulle storie, sulle poesie argomentando distanze, vicinanze fisiche e temporali. Berger in questo libro si trova in uno stato di grazia dato dall'innamoramento che consente quella percezione fine per "segnare" quel tempo e nel contempo tutelare la libertà di sconfinare, metaforicamente rappresentata dall'osmosi cellulare, che permette un contagio naturale e mutevole dato dalle relazioni e dal vivere della vita.
Tullio de Mauro, grande linguista, profondo conoscitore del territorio e della storia del nostro Paese, autore del "Grande dizionario italiano" e della "Storia linguistica dell’Italia unita" e "Storia linguistica dell'Italia repubblicana", testimonianze preziose delle vicissitudini linguistiche legate a quelle politiche, culturali (bassa scolarità, analfabetismo, uso dei dialetti), demografiche e umane (predominanza della società agricola). De Mauro ha sottolineato più volte la disabitudine alla lettura, la ridotta vicinanza al mondo della matematica e delle scienze che riconducono a livelli di competenza scarsi e mediocri e successivamente un allontanamento della scuola e uno scarso investimento in questa istituzione basilare. La conseguenza evidente riguarda un utilizzo della lingua molto basico, sia dal punto di vista della ricchezza del vocabolario, sia dal punto di vista grammaticale.
L'appropriatezza del linguaggio e dell'espressione sono ritenuti secondari rispetto al successo economico e al raggiungimento di livelli materiali considerevoli, a discapito di una società che elevi i pensieri verso valori più consoni all'umanità.
Quello che emerge, come riportato da coloro che hanno conosciuto il linguista, è lo splendore del suo pensiero inteso come chiarezza e lucidità riportato nella dimensione della parola. Parola che in modo fertile non è vista come uno strumento da porre sull'altare della cultura con la C maiuscola ma bensì tra la gente, parola come manifestazione alta della vita di un paese. Spesso gli economisti ci hanno fatto riflettere sulla cultura quale motore di crescita del territorio e Tullio de Mauro ha saputo descrivere in modo preciso queste indicazioni riferendosi alla dimensione dell'essere di ciascun componente della società. In termini di reponsabilizzazione ci sentiamo chiamati a difendere l'importanza di un utilizzo puntuale e cognitivo della lingua quale strumento di sviluppo e di istruzione della comunità.
In questa intervista l'autore sottolinea l'importanza delle parole e dell'istruzione: "La lingua sta bene ma sono gli italiani che non stanno bene perchè usano le parole un pò a vuoto, per fare buona impressione. Non si fa capire come le cose annunciate si realizzino e diventino concrete. Il possesso della cultura intellettuale è una condizione necessaria ma non sufficiente. Ci sono esempi di paesi di alti livelli intellettuali che hanno potuto compiere le peggiori efferatezze. Se la scuola funziona e sa garantire l'istruzione dà un prerequisito di buon andamento della vita civile. Poi il resto dipende dalla volontà delle persone e delle comunità."